La riforma agraria di Tiberio Gracco
Nel 133 a.C. Tiberio Sempronio Gracco, politico romano della fazione dei Populares, la quale nella vita politica della Repubblica romana sosteneva le istanze del popolo, divenuto tribuno della plebe propose con l’aiuto del pontefice massimo Crasso e del console Publio Muzio Scevola un’importante legge agraria che, come si vedrà, gli costò la vita. Ma innanzitutto cosa proponeva tale legge? E quale fu la situazione che condusse al proponimento di tale riforma?
La proposta di Gracco fondamentalmente era quella di mettere in atto una legge il limite per tutti di possedere non più di 500 iugeri di terra di ager publicus, altri 250 iugeri erano concessi per ogni figlio fino a un massimo di 1000 iugeri. L’ager publicus recuperato sarebbe stato diviso poi in piccoli lotti da 30 iugeri, da distribuire ai contadini poveri e infine una commissione di 3 membri era incaricata di confiscare le terre detenute abusivamente dai latifondisti e di distribuirle ai contadini nullatenenti. Chiaramente il principale obiettivo di tale legge era quello di contrastare l’ingiustizia sociale, regnante a quel tempo. Infatti nel II secolo a.C. esplose il problema dei contadini senza terra, proprio perché sebbene la legge permetteva di farsi assegnare un lotto pagando allo stato una sorta di affitto, ovviamente solo i ricchi disponevano dei soldi necessari per pagarlo e cosi anche i lotti dell’ager publicus finirono nelle mani dei latifondisti.
Tiberio allora pose con decisione il problema dell’ager publicus, ritenendo inaccettabile che la maggioranza della popolazione romana fosse ridotta in miseria e convincendosi allora della necessità di questa riforma agraria, che avrebbe restituito la terra ai contadini. Questa riforma poi era indispensabile anche da un punto di vista militare: solo chi possedeva la terra infatti poteva far parte dell’esercito: la scomparsa dei piccoli proprietari terrieri rendeva dunque difficile il reclutamento. Il provvedimento, allora, essendo a favore dei ‘’più’’ fu fortemente sostenuto dal popolo che espresse la sua propensione per tale riforma anche attraverso scritte sui maggiori monumenti e sulle pareti dei portici di Roma, ma fu ricusato sdegnosamente dai ricchi, i quali tentarono inutilmente di aizzare una rivolta contro Tiberio.
Anche il senato quindi, schierato a difesa delle grandi proprietà, si oppose energicamente, tentò di incitare una rivolta contro Tiberio, ma nonostante ciò l’assemblea della plebe approvò la proposta di Tiberio. A quel punto l’opposizione dei proprietari fu molto forte. Essi si appoggiarono infatti ad un altro tribuno della plebe, il giovane Marco Ottavio, che accettò di porre il veto alla legge agraria. In risposta al veto Tiberio scrisse una legge ancora più restrittiva per i possidenti terrieri e iniziò così una sfida tra i due tribuni che quotidianamente si cimentavano in senato in dure sfide oratorie. Si arrivò a un nuovo editto che proibì ai magistrati di intraprendere affari sino alla votazione della legge e questi come risposta si dimisero dalle loro cariche arrivando anche ad assoldare sicari per far uccidere Tiberio. A quel punto il popolo si riunì presso il Campidoglio per votare ma pare vi fosse un tale rumore da non riuscire a parlare. Nella confusione Tiberio fu informato che i suoi nemici avevano un piano per uccidere il console Muzio Scevola, cosi nel corso dell’assemblea cominciò a diffondersi il panico, con i sostenitori di Tiberio che impugnarono le lance come per difendersi, mentre i suoi nemici corsero al Senato per denunciare il fatto: a quel punto il senatore Publio Cornelio Scipione esortò i suoi a far rispettare la legge, mediante la formula del tumultus, quindi i suoi partigiani marciarono armati fino al Campidoglio. Ne seguì una carneficina nella quale persero la vita oltre trecento cittadini romani e tra loro lo stesso Tiberio, ucciso a bastonate e il corpo fu gettato nel Tevere insieme a quelli di 300 suoi sostenitori. Dopo la sua morte il senato non ebbe il coraggio di abolire la riforma ma piuttosto cercò di ostacolarne l’applicazione, fondamentalmente la lex agraria non venne mai applicata del tutto anche se si tentò a lungo di renderla effettiva. Infatti con la morte di Tiberio Gracco la questione non si era ancora conclusa, poiché lo scontro politico si fece ancora più duro quando il fratello Gaio Gracco, divenne tribuno della plebe nel 123 a.C. Tra il 123 ed il 122 a.C. egli tentò di portare avanti il progetto del fratello e memore di quanto accadutogli aveva capito che per realizzare effettivamente la riforma era necessario conquistare un vasto consenso nella società romana.
Non bastava l’appoggio dei contadini, bisognava ottenere il consenso di tutti coloro che potevano essere disponibili a contrastare il Senato. A tale scopo fece approvare la cosiddetta ‘’lex frumentaria’’ la quale favoriva la plebe prevedendo la distribuzione di grano ai cittadini romani a prezzo ridotto. Egli poi, per conquistare il consenso dei cavalieri fece approvare un’altra legge, la cosiddetta ‘’lex iudiciaria’’, con la quale modificò la composizione dei tribunali permanenti: trasferiva la carica di giudice dai senatori ai cavalieri, guadagnando il sostegno dell’ordine equestre. Infatti da quel momento non fu più possibile ai senatori di esercitare un potere ingiusto permettendo di far gonfiare i tributi delle provincie e intascandosene i profitti e giudicando gli accusati, del loro stesso ordine, con scandalosa indulgenza.
Solo dopo aver fatto ciò, Gaio riprese la legge agraria del fratello che fu finalmente approvata e anche in parte applicata, soprattutto al sud Italia. Tuttavia il Senato seppe reagire all’offensiva di Gracco servendosi di un altro tribuno della plebe, Livio Druso, che tentò di sottrarre popolarità a Caio con altre iniziative di legge in apparenza più favorevoli al popolo. Quando poi Gaio propose di estendere la cittadinanza di Roma, i poveri e i cavalieri gli voltarono le spalle, ben aizzati dal Senato, perché vedevano come una minaccia l’estensione ad altri di una condizione che a loro appariva comunque privilegiata. Così la proposta fu respinta e Gaio Gracco non riuscì a farsi eleggere tribuno per la terza volta alle elezioni del 121 a.C. In seguito ad una rivolta, durante un’assemblea, l’ex tribuno si fece uccidere da uno dei suoi schiavi. Nel corso dei dieci anni successivi, passo dopo passo, una serie di leggi smantellò del tutto la riforma agraria: fu permessa la vendita degli appezzamenti di terreno che erano stati assegnati, fu definitivamente bloccato il recupero dell’ager publicus, per cui quei cittadini romani che erano riusciti a evitare le confische ebbero la certezza di conservare il terreno occupato illegalmente; infine fu abolito il canone dovuto da chi occupava l’ager publicus. Il risultato fu che il popolo perdette ogni cosa e la situazione andò sempre più degenerando.
Anna Valiante
Articolo elaborato nell’ambito del progetto di Alternanza Scuola Lavoro a.s. 2016-2017 tra Liceo Classico Parmenide di Vallo della Lucania (SA) e l’associazione AUSS di Sapri (SA)